Di Edma Vernieri Cotugno (presidente della ATI - Associazione no profit di Traduttori e Interpreti)
Leggendo alcuni passi della Genesi appare evidente che Dio aborrisse il monolinguismo. « Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo niente. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro possibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. »(Gen. 11, 1-9) Soltanto agli apostoli fu concesso “il dono delle lingue”, ossia la capacità di comprendere e parlare lingue sconosciute e gli stessi apostoli si resero conto dell'importanza della traduzione: l’apostolo Paolo, e in armonia con le lingue descritte in Atti, sostenne che parlare in lingue è di gran valore per chi ascolta il messaggio di Dio nella propria lingua, ma è inutile per chiunque altro, a meno che non sia interpretato o tradotto. “Se non ci fosse stata la torre di Babele, avremmo dovuto costruirne una“ (Karl Popper). In realtà la torre di Babele è il simbolo di un'unità obbligata e artificiosa, una globalizzazione forzata. Infatti, il sogno dell'imperialismo di Babilonia è quello di imporre «un unico labbro», come si dice nell'originale ebraico della Genesi, cioè una sola lingua, una sola cultura, una sola concezione della vita, precettata a tutti. La torre di Babele franata - esaltata da Popper come base del pluralismo – diventa il simbolo stesso della traduzione, intesa come operazione insieme necessaria e impossibile, è cioè segno dell’impossibilità di una sua compiutezza e della necessità di decostruire ogni univocità semantica. Il traduttore si rivela, dunque, come una nuova figura sovversiva e divinatoria che fa saltare i confini voluti da Dio; è il ponte che porta su di sé il peso delle diversità linguistiche e culturali; un ponte sempre in bilico in cerca di un equilibrio tra teoria e prassi, tra difficoltà teorica della perfetta traduzione e necessità pratica di tradurre, un equilibrio difficile che tende al superamento dell’ermeneutica del conflitto; un processo che mette in gioco anche un ripensamento etico, sociale, politico ed economico. La traduzione dei testi sacri non è una “questione di nicchia”, un dibattito tra religiosi, né dal punto di vista metodologico né puramente traduttologico. È lì, infatti, che emerge nella sua pienezza la questione dell’alterità e dell’esperienza linguistica universale. Prendere sul serio la rilevanza della traduzione significa intenderla non come una mera tecnica di comunicazione fra un linguaggio e l’altro, bensì come un aspetto costitutivo profondo dell’esistenza umana. Anche quando fallisce la sua sfida contro l'intraducibilità, la traduzione ci dimostra la permanenza del suo “passaggio”. Ha dell'incredibile il fatto che evidenti errori di traduzione nella Bibbia siano sopravvissuti a migliaia di revisioni. Un esempio tra tanti: "la costola di Adamo". Secondo il professor Valla, linguista e traduttore della Bibbia, non è un'opinione che la parola ebraica “zelah” non significhi costola, bensì :"la metà" . Eva, pertanto, secondo la sua interpretazione, non sarebbe stata creata da una costola di Adamo, ma sarebbe piuttosto una sorta di clone creato dalla metà del DNA di Adamo. L'esistenza e la struttura del DNA a quei tempi era, ovviamente, ignota e, pertanto il traduttore risolse con l'espediente della costola che tuttora la Chiesa cattolica ci racconta. L'esempio della “costola di Adamo” appare come il più pregante simbolo e metafora della sfida del traduttore contro l'intraducibilità; una sfida persa, in questo specifico caso, ma pienamente rilevante per comprendere quanto la traduzione possa condizionare le nostre esistenze fino a confondersi con l'esistenza stessa. Per concludere Vi suggerisco la visione del video del prof. Valla, tra l'altro molto piacevole e persino divertente.
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Giugno 2019
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